venerdì 13 dicembre 2013

Terza domenica di Avvento: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?".

“Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”.
 Quando con fedeltà si rende testimonianza al Signore si va controcorrente. Certo procedere in direzione contraria, magari in maniera ostinata, non è gradito al “mondo” che fa di tutto per eliminare quelle che considera “schegge impazzite”. In realtà chi procede contro le suggestioni del mondo nella fedeltà alla volontà di Dio si sta già ritagliando un posto nel suo regno e comincia, fin da subito, a vivere godendo dei benefici di “Grazia” che derivano dall’intima comunione con il Padre.
Ma andare controcorrente, rispetto al mondo, non è facile. Spesso siamo assaliti dal dubbio e ci chiediamo come Giovanni: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. E’ una domanda cruciale. Una domanda dalla cui risposta dipende il senso della nostra vita di fede. La vita, infatti, è una soltanto e non vogliamo sciuparla. Giovanni, dal carcere, dove gli era giunta l’eco delle “opere di Cristo” desidera sapere. Ha bisogno di conoscere se è Lui in Cristo, l’unto del Signore. Ha necessità di avere certezza che Gesù è il figlio di Dio. Giovanni, infatti, sta quasi per perdere la sua vita e vuole sapere se l’ha spesa bene. Se la sua sofferenza, il suo dolore, la sua testimonianza  sono stati, per davvero, “un buon investimento”. Ed è così che prende l’iniziativa e manda i suoi discepoli ad incontrare Gesù per avere la certezza se fosse proprio Lui (Gesù), quello che il popolo d’Israele stava aspettando. Ma riceve una risposta indiretta. Gesù non conferma con le parole ma risponde invitando i discepoli di Giovanni a leggere i fatti che stanno accadendo per mezzo di lui.
Ed è così che questi diventano testimoni di eventi che sono a dir poco prodigiosi. Ci sono persone che riottengono la vista; zoppi che riacquistano la possibilità di camminare; malati che guariscono e sono sanati da brutte malattie; gente priva dell’udito che lo recupera e, poveri che ricevono l’annunciato del Vangelo. Oltre ai “miracoli”, che toccano il corpo, c’è il grande messaggio ai poveri, la buona notizia della salvezza e del regno di Dio che è possibile vivere fin da subito. Non c’è dubbio che è proprio questo grande messaggio ai “poveri” il cuore dell’esperienza che Gesù vuole trasmettere. Tutto il resto è importante ma il cuore di tutto è “la salvezza”.
Siamo colpiti, inoltre, dalla grande attestazione di stima di Gesù verso Giovanni che lo indica essere “più che un profeta”. Non un potente “vestito con abiti di lusso” e che abita “nei palazzi del re” ma uno che nella semplicità, essenzialità e sobrietà possiede la forza e il coraggio che solo lo Spirito di Dio sa infondere. Un uomo Giovanni che con grande determinazione è capace di richiamare i suoi contemporanei ad un mutamento di comportamento per recuperare una giusta dimensione di fede. L’invito chiaro propone agli uomini che vanno ad incontrarlo nel deserto e, quindi, anche a noi quando ci mettiamo ascolto dei “profeti”, è quello di abbandonare i comportamenti, i pensieri e le azioni che creano ingiustizie e sofferenze agli altri. Giovanni è l’uomo che spinge alla conversione per ricreare relazioni positive.
Anche noi in questo tempo siamo chiamati a riaccogliere nel nostro cuore il grande messaggio di speranza che viene da Gesù; siamo chiamati ad aprirci al Padre alzando le braccia al cielo per chiedere misericordia e pace; siamo invitati a recuperare il senso della fede autentica con il proposito di dare senso alla nostra vita riconoscendo nel bambino che sta per venire il figlio di Dio.
Siamo i nuovi poveri che alzano gli occhi, invocano protezione e sperano che la luce che intravediamo illumini i nostri pensieri e quelli dei ricchi e potenti che in nome del dio denaro stanno letteralmente opprimendo le nostre vite. Siamo così chiamati a convertirci tutti perché il mondo possa recuperare la strada che porta alla salvezza.
Non possiamo però, come ci ricorda sempre più spesso papa Francesco, perdere la speranza e in questa domenica siamo chiamati a rallegrarci e a gioire nell’intimo nella certezza che il Signore non ci abbandona e che, sempre, è pronto ad evitarci il male.
Francesca Maria Forgetta e Vincenzo Testa

venerdì 6 dicembre 2013

A partire dalla prima domenica di Avvento di questo nuovo anno liturgico, io e la mia sposa Franca, abbiamo iniziato a collaborare con il sito www.korazym.org proponendo una breve riflessione sui Vangeli Festivi. La nostra riflessione viene pubblicata il venerdì che precede la domenica. Il sito è curato e diretto dalla vaticanista Angela Ambrogetti.
Ecco i link per accedere.
1° Domenica di Avvento
2° Domenica di Avvento

Sarebbe anche bello condividere con voi tutti questo cammino e se vi fa piacere sarebbe anche più bello che lasciaste un vostro commento. Grazie

venerdì 2 agosto 2013

Notti senza luna

 
Nelle notti senza luna e con il cielo coperto il buio è più intenso e cupo. Non si vede nemmeno una luce. Se magari ci fosse tu la vedresti e il suo chiarore sarebbe capace di indicarti il sentiero da percorrere. Se, invece, manca hai due alternative: restare fermo a scrutare il nero che hai davanti, oppure, fare qualche passo in avanti vagando qua e là. In questo secondo caso il rischio è ancora più grosso che restare immobili. Nell'uno e nell'altro caso avverti un senso di impotenza, la vita si arrende all'evidenza del presente.
Puoi provare a pregare un Dio "muto"; puoi provare a fare silenzio in te per cercare di ascoltare i suoi passi nella notte; puoi provare mille altre cose ... puoi provare.
Provando, però, mostri ancora di avere una speranza, quella appunto, di ritrovare la strada da percorrere che, anche se ti costa fatica, e te ne costa, dimostra che qualcosa ancora pensi di poter fare.
Ma a volte ti viene meno anche la speranza e quando questo accade il male prende possesso di te entrando nel tuo cuore e pian piano finisce per impadronirsi del tuo corpo.
A questo punto c'è solo bisogno di Qualcuno che intervenga autonomamente...è il Dio muto che dovrebbe prendere l'iniziativa... nessuno può fare più nulla ... solo Lui può intervenire di sua iniziativa.

venerdì 26 luglio 2013

Da Papa Francesco la forza di sognare una Chiesa e un mondo nuovo.



In questi giorni Papa Francesco è in Brasile e, ancora una volta, le sue parole colpiscono il cuore e, soprattutto, ci aiutano a guardare in avanti con fiducia. Vorrei sottolineare solo alcune delle cose che ha detto ieri:

IL PAPA AI GIOVANI  Non perdete la speranza. La realtà può cambiare, cercate per primi il bene comune.

IL PAPA ALLA CHIESA Voglio che la Chiesa esca fuori, sulle strade...che non sia una Chiesa chiusa... chiedo scusa ai vescovi, ma è questo il consiglio migliore che posso dare. Dobbiamo lottare contro ogni esclusione... quasi un'eutanasia silenziosa. No all'esclusione delle due "punte", giovani e anziani... Così non ci sarà futuro per la società...

IL PAPA IN VISITA AD UNA FAVELA Mi dispiace che state qui ingabbiati ma devo confessarvi che qualche volta mi sento ingabbiato anche io...

E A PROPOSITO DELLA PREGHIERA
"La vita cristiana non si limita al pregare ma richiede un impegno continuo e coraggioso che nasce dalla preghiera"(Papa Francesco)...

 Grazie Santo Padre di ricordarci queste cose perché, a volte, guardandomi attorno resto confuso... Spero vivamente

- che "la realtà possa cambiare";
- che la Chiesa riesca ad uscire fuori sulle strade per testimoniare concretamente (nei fatti) la fede e che vesta i panni del Samaritano;
- che nessuno si senti in gabbia e possa, con libertà, dire ciò che pensa senza aver paura di essere messo da parte, emarginato e magari finire all'indice come, (mi dispiace) accade;
- che si comprenda che la preghiera è solo ciò che deve aiutarci a compiere le opere sollevando i fratelli dalla miserie materiale e spirituale;
- che la Chiesa sia "povera" per abbracciare i "poveri"...che viva la sobrietà, la semplicità, la purezza della prima ora e che ogni battezzato abbia, veramente, la sua dignità di Figlio di Dio .

Come diacono spero vivamente che questo ministero sia a servizio della Chiesa e del popolo di Dio e che noi diaconi prendiamo coscienza che il nostro compito è quello di chinarci sulle piaghe degli uomini per accarezzarle, medicarle e alleviare le sofferenze.

Direi che se tutto questo si può sognare si può anche realizzare.

"Non fatevi rubare la speranza" da chi si sente sempre un gradino più in alto e ci giudica e giudicandoci ridacchia e ridendo vestito a festa propone solo gesti coreografici privi di vita.

"Non fatevi rubare la speranza" da chi vivendo nell'agio e senza problemi non si cura di abbracciare i poveri e si nasconde dietro la costruzione di teorie mentre l'uomo vero muore di fame e nella sofferenza.

"Non fatevi rubare la speranza" da chi crede che tutto gli è dovuto e che il suo status lo abilita ad esercitare un "potere" e non un "servizio" come, invece, dovrebbe essere.

"Non fatevi rubare la speranza" da ricchi e potenti che opprimono gli uomini per il loro tornaconto personale.

Mi piacerebbe leggere i vostri commenti, le vostre riflessioni i vostri pareri.
Grazie










 

martedì 25 giugno 2013

Essere cristiano è una chiamata.

Essere cristiano è una chiamata d’amore, una chiamata a diventare figli di Dio. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi ribadito che la certezza del cristiano è che il Signore non ci lascia mai soli e ci chiede di andare avanti, anche in mezzo ai problemi. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Robert Sarah, dal cardinale Camillo Ruini e da mons. Ignacio Carrasco de Paula, hanno preso parte un gruppo di dipendenti del Pontificio Consiglio “Cor Unum”, della Pontificia Accademia per la Vita e un gruppo di collaboratori della Specola Vaticana, accompagnati dal direttore José Gabriel Funes.

Papa Francesco ha incentrato l’omelia sulla Prima Lettura, tratta dal Libro della Genesi, dove si racconta della discussione tra Abram e il cugino Lot per la divisione della terra. “Quando io leggo questo – ha detto il Papa – penso al Medio Oriente e chiedo tanto al Signore che ci dia a tutti la saggezza, questa saggezza – non litighiamo, io di qua e tu di là… - per la pace”. Abram, ha osservato il Papa, “continua a camminare”. “Lui – ha affermato – aveva lasciato la sua terra per andare, non sapeva dove, ma dove il Signore gli dirà”. Continua a camminare, dunque, perché crede nella Parola di Dio che “lo aveva invitato ad uscire dalla sua terra”. Quest’uomo, forse novantenne, ha detto ancora il Papa, guarda la terra che gli indica il Signore e crede:

Abram parte dalla sua terra con una promessa: tutto il suo cammino è andare verso questa promessa. E il suo percorso è anche un modello del nostro percorso. Dio chiama Abram, una persona, e di questa persona fa un popolo. Se noi andiamo al Libro della Genesi, all’inizio, alla Creazione, possiamo trovare che Dio crea le stelle, crea le piante, crea gli animali, crea le, le, le, le… Ma crea l’uomo: al singolare, uno. Sempre Dio ci parla al singolare a noi, perché ci ha creato a sua immagine e somiglianza. E Dio ci parla al singolare. Ha parlato ad Abram e gli ha dato una promessa e lo ha invitato ad uscire dalla sua terra. Noi cristiani siamo stati chiamati al singolare: nessuno di noi è cristiano per puro caso! Nessuno!”

C’è una chiamata “col nome, con una promessa”, ha ribadito il Papa: “Vai avanti, Io sono con te! Io cammino affianco a te”. E questo, ha proseguito, Gesù lo sapeva: “ anche nei momenti più difficili si rivolge al Padre”:

“Dio ci accompagna, Dio ci chiama per nome, Dio ci promette una discendenza. E questa è un po’ la sicurezza del cristiano. Non è una casualità, è una chiamata! Una chiamata che ci fa andare avanti. Essere cristiano è una chiamata di amore, di amicizia; una chiamata a diventare figlio di Dio, fratello di Gesù; a diventare fecondo nella trasmissione di questa chiamata agli altri; a diventare strumenti di questa chiamata. Ci sono tanti problemi, tanti problemi; ci sono momenti difficili: Gesù ne ha passati tanti! Ma sempre con quella sicurezza: ‘Il Signore mi ha chiamato. Il Signore è come me. Il Signore mi ha promesso’”.

Il Signore, ha ribadito, “è fedele, perché Lui mai può rinnegare se stesso: Lui è la fedeltà”. E pensando a questo brano dove Abram “è unto padre, per la prima volta, padre dei popoli, pensiamo anche a noi che siamo stati unti nel Battesimo e pensiamo alla nostra vita cristiana”:

“… qualcuno dirà ‘Padre, io sono peccatore’… Ma tutti lo siamo. Quello si sa. Il problema è: peccatori, andare avanti col Signore, andare avanti con quella promessa che ci ha fatto, con quella promessa di fecondità e dire agli altri, raccontare agli altri che il Signore è con noi, che il Signore ci ha scelto e che Lui non ci lascia soli, mai! Quella certezza del cristiano ci farà bene. Che il Signore ci dia, a tutti noi, questa voglia di andare avanti, che ha avuto Abram, in mezzo ai problemi; ma andare avanti, con quella sicurezza che Lui che mi ha chiamato, che mi ha promesso tante cose belle è con me!”

venerdì 21 giugno 2013

Come devono essere i Pastori secondo Papa Francesco

Amare la Chiesa e il Paese, che si è chiamati a servire, attraverso la mortificazione, il sacrificio, il distacco da se stessi, attraverso un costante rapporto con il Signore. Così si è espresso Papa Francesco con i rappresentati pontifici ricevuti in Sala Clementina. Il Santo Padre ha ribadito la centralità della testimonianza di amore e la necessità di fuggire da quella che ha definito la “borghesia dello spirito e della vita”.
"La vostra è una vita spesso difficile, a volte in luoghi di conflitto (...) Quanto dolore, quanta sofferenza! Un continuo pellegrinaggio senza la possibilità di mettere radici in un posto, in una cultura, in una specifica realtà ecclesiale. Ma è una vita che cammina verso le promesse e le saluta da lontano. Una vita in cammino, ma sempre con Gesù Cristo che vi tiene per mano". Grazie ancora per questo! Noi sappiamo che la nostra stabilità non sta nelle cose, nei propri progetti o nelle ambizioni, ma nell’essere veri Pastori che tengono fisso lo sguardo su Cristo.
Il Papa si stringe con l’affetto che lui stesso definisce “del cuore”, “non formale”, ai rappresentanti pontifici, li chiama “mediatori” costruttori di “comunione”. Con il suo discorso si “mette accanto a ciascuno”. Sottolinea l’impegno, la mobilità da un “continente all’altro”. "La vostra è una vita di nomadi”, puntualizza stilando il parallelo con Abramo, “uomo di fede in cammino” che dice si a Dio:

"Questo comporta due elementi, a mio parere. Anzitutto la mortificazione, perché davvero andare con la valigia in mano è una mortificazione, no?, il sacrificio di spogliarsi di cose, di amici, di legami e iniziare sempre di nuovo. E questo non è facile; è vivere nel provvisorio, uscendo da se stessi, senza avere un luogo dove mettere radici, una comunità stabile, eppure amando la Chiesa e il Paese che siete chiamati a servire".

Papa Francesco ha sottolineato la necessità di professionalità, ma soprattutto la prossimità con le persone, l’imprescindibilità della ricerca, dell’affidamento al Signore. “Lui è il bene promesso - ha rimarcato - Questo non deve sembrarci mai qualcosa di scontato”. Da qui, la testimonianza di Cristo “bene prezioso da comunicare, da annunciare, da rappresentare”:

"I beni, le prospettive di questo mondo finiscono per deludere, spingono a non accontentarsi mai; il Signore è il bene che non delude. L’unico che non delude. E questo esige un distacco da se stessi che si può raggiungere solo con un costante rapporto con il Signore e l’unificazione della vita attorno a Cristo. E questo si chiama familiarità con Gesù. La familiarità con Gesù Cristo dev’essere l’alimento quotidiano del rappresentante pontificio, perché è l’alimento che nasce dalla memoria del primo incontro con Lui e perché costituisce anche l’espressione quotidiana di fedeltà alla sua chiamata".
La familiarità con Gesù Cristo – spiega il Papa – nella preghiera, nella celebrazione eucaristica, nel servizio della carità”. Poi, precisa, c’è sempre il pericolo, anche per gli uomini di Chiesa, di cedere nella “mondanità spirituale”:

"Cedere allo spirito del mondo, che conduce ad agire per la propria realizzazione e non per la gloria di Dio, a quella sorta di 'borghesia dello spirito e della vita' che spinge ad adagiarsi, a ricercare una vita comoda e tranquilla".

Citando il discernimento del Beato Giovanni XXIII, ha parlato di “fogliame inutile” o di “andare diritto all’essenziale, che è Cristo e il suo Vangelo”, "altrimenti – ha evidenziato – si rischia di volgere al ridicolo una missione santa":

"E’ una parola forte questa del ridicolo, no?, ma è vera: cedere allo spirito mondano espone soprattutto noi Pastori al ridicolo. Potremo forse ricevere qualche applauso, ma quegli stessi che sembreranno approvarci, poi ci criticheranno alle spalle":

“Fate sempre tutto con profondo amore!”, ha più volte detto, “nella carità“, con “professionalità”. “Ricercate sempre il bene, il bene di tutti, il bene della Chiesa e di ogni persona”, ha proseguito. Poi, la raccomandazione relativa “al delicato compito di realizzare l’indagine per le nomine episcopali”:

"Siate attenti che i candidati siano Pastori vicini alla gente: questo è il primo criterio. Pastori vicini alla gente (…) Che siano padri e fratelli, siano miti, pazienti e misericordiosi; che amino la povertà, interiore come libertà per il Signore e anche esteriore come semplicità e austerità di vita, che non abbiano una psicologia da “Principi”. Siate attenti che non siano ambiziosi, che non ricerchino l’episcopato".

“Siano capaci” di sorvegliare, ha aggiunto Papa Francesco, di vigilare, di proteggere il “gregge” che sarà loro affidato. “Il vescovo è quello che fa la veglia, che siano capaci di vegliare”:
"I Pastori sappiano essere davanti al gregge per indicare la strada, in mezzo al gregge per mantenerlo unito, dietro al gregge per evitare che qualcuno rimanga indietro e perché lo stesso gregge ha, per così dire, il fiuto nel trovare la strada".

giovedì 20 giugno 2013

A proposito di certi commenti su Papa Francesco

Non so se è capitato anche a voi ma io ogni tanto sento da parte di "qualcuno" dei commenti su Papa Francesco che mi fanno paura... e mi spiego...c'è chi ironizza sulle folle che frequentano San Pietro, c'è chi ironizza sul suo modo di frequentare il popolo di Dio, c'è chi, insomma, appare geloso di tanto "interesse" per Papa Francesco e questo mi f...a paura ... insomma c'è chi frena volendo conservare non la nobile "TRADIZIONE DELLA ORIGINI" ma semplicemente quel "vecchio e comodo status quo" nel quale ci si sguazza bene mentre il popolo di Dio...soffre !!!

Aggiornare lo stile della fede è ormai necessario e sarebbe il caso che come ha ripetuto anche ieri Papa Francesco: "I cristiani non siano ipocriti o moralisti senza bontà, capaci solo di dettare regole o vuoti precetti". NON SOLO...
Papa Francesco ha anche criticato "gli intellettuali senza talento e i portatori di bellezze da museo: questi sono gli ipocriti ai quali Gesù rimprovera tanto", con riferimento all'atteggiamento degli scribi e dei farisei descritto nel Vangelo.

lunedì 17 giugno 2013

E' Gesù il segreto della magnanimità del cristiano.

Per il cristiano, Gesù è “il tutto” e da qui deriva la sua magnanimità. E’ quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha ribadito che la giustizia che porta Gesù è superiore a quella degli scribi, all’occhio per occhio, dente per dente. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Attilio Nicora, erano presenti, tra gli altri, i collaboratori dell’Autorità di Informazione Finanziaria e un gruppo di collaboratori dei Musei Vaticani, accompagnati dal direttore amministrativo, don Paolo Nicolini. Alla Messa era presenta anche il cardinale arcivescovo di Manila, Luis Antonio Tagle.

“Se uno ti percuote la guancia destra, tu porgigli anche l’altra”. Papa Francesco ha incentrato la sua omelia sulle sconvolgenti parole di Gesù rivolte ai suoi discepoli. Quello dello schiaffo, ha osservato il Papa, “è diventato un classico per ridere dei cristiani”. Nella vita, ha detto, la “logica normale” ci insegna che “dobbiamo lottare, dobbiamo difendere il nostro posto” e se ci danno uno schiaffo “noi ne daremo due, così ci difendiamo”. Del resto, ha detto il Papa, quando consiglio ai genitori di riprendere i propri figli sempre dico: “Mai sulla guancia”, perché “la guancia è la dignità”. Gesù invece, ha proseguito, dopo lo schiaffo sulla guancia va a avanti e dice anche di dare il mantello, spogliarsi di tutto.

“La giustizia che Lui porta – ha dunque affermato – è un’altra giustizia totalmente diversa dall’occhio per occhio, dente per dente. E’ un’altra giustizia”. E questo, ha osservato, lo possiamo capire quando San Paolo parla dei cristiani come “gente che non ha nulla” e “invece possiede tutto”. Ecco allora che la sicurezza cristiana è proprio in questo “tutto” che è Gesù. “Il ‘tutto’ – ha soggiunto è Gesù Cristo. Le altre cose sono ‘nulla’ per il cristiano”. Invece, ha avvertito il Papa, “per lo spirito del mondo il ‘tutto’ sono le cose: le ricchezze, le vanità”, “avere posti in su” e “il ‘nulla’ è Gesù”. Se dunque un cristiano può camminare 100 chilometri quando gli chiedono di andare avanti per 10, “è perché per lui questo è ‘nulla’” e, con tranquillità, “può dare il mantello quando gli chiedono la tunica”. Ecco qual è allora il “segreto della magnanimità cristiana, che sempre va con la mitezza”, è il “tutto”, è Gesù Cristo:

“Il cristiano è una persona che allarga il suo cuore, con questa magnanimità, perché ha il ‘tutto’, che è Gesù Cristo. Le altre cose sono il ‘nulla’. Sono buone, servono, ma nel momento del confronto sceglie sempre il ‘tutto’, con quella mitezza, quella mitezza cristiana che è il segno dei discepoli di Gesù: mitezza e magnanimità. E vivere così non è facile, perché davvero ti danno degli schiaffi, eh?, te li danno! E su tutte e due le guance. Ma, il cristiano è mite, il cristiano è magnanimo: allarga il suo cuore. Ma quando noi troviamo questi cristiani con il cuore ridotto, con il cuore rimpicciolito, che non vanno… questo non è cristianesimo: questo è egoismo, mascherato da cristianesimo”.

“Il vero cristiano”, ha detto ancora, “sa risolvere questa opposizione bipolare, questa tensione tra il ‘tutto’ e il ‘nulla’, come Gesù ci aveva consigliato: ‘Cercate prima il Regno di Dio e la sua giustizia, e l’altro viene, poi”:

“Il Regno di Dio è il ‘tutto’, l’altro è secondario, non è principale. E tutti gli sbagli cristiani, tutti gli sbagli della Chiesa, tutti i nostri sbagli nascono di qua, quando noi diciamo al ‘nulla’ che è il ‘tutto’ e al ‘tutto’ che, mah, sembra che non conti... Seguire Gesù non è facile, non è facile. Ma neppure è difficile, perché nella strada dell’amore il Signore fa le cose in un modo che noi possiamo andare avanti; lo stesso Signore ci allarga il cuore”.

E questa è la preghiera che noi dobbiamo fare, ha aggiunto, “davanti a queste proposte dello schiaffo, del mantello, dei 100 chilometri”. Dobbiamo pregare il Signore, affinché allarghi “il nostro cuore”, affinché “noi siamo magnanimi, siamo miti”, e non lottiamo “per le piccolezze, per i ‘nulla’ di ogni giorno”.

“Quando uno fa un’opzione per il ‘nulla’, da quella opzione nascono gli scontri in una famiglia, nelle amicizie, con gli amici, nella società, anche; gli scontri che finiscono con la guerra: per il ‘nulla’! Il ‘nulla’ è seme di guerre, sempre. Perché è seme d’egoismo. Il ‘tutto’ è quello grande, è Gesù. Chiediamo al Signore che allarghi il nostro cuore, che ci faccia umili, miti e magnanimi, perché noi abbiamo il ‘tutto’ in Lui; e che ci difenda dal fare problemi quotidiani attorno al ‘nulla’”.





Si alla vita e no agli idoli

“Seguire la via di Dio conduce alla vita, mentre seguire gli idoli conduce alla morte”. Così ieri il Papa in Piazza San Pietro dove ha presieduto la Santa Messa in occasione della Giornata dedicata all’"Evangelium Vitae", nell’anno della Fede. Il Santo Padre ha più volte ribadito la misericordia di “Dio che vuole la vita, sempre ci perdona”. Migliaia i fedeli presenti, con loro anche le delegazioni provenienti da tutto il mondo del "popolo della vita". 

L’affetto dei fedeli, immersi nella preghiera del Rosario, ha accolto il Papa che sorridente sulla jeep vaticana ha benedetto una piazza festante, poi la Santa Messa e l’omelia di Papa Francesco:

Diciamo sì all’amore e no all’egoismo, diciamo sì alla vita e no alla morte, diciamo sì alla libertà e no alla schiavitù dei tanti idoli del nostro tempo; in una parola diciamo sì a Dio, che è amore, vita e libertà, e mai delude”.
“Una fede che ci rende liberi e felici” ha ribadito il Papa sottolineando che “solo la fede nel Dio Vivente ci salva; nel Dio che in Gesù Cristo ci ha donato la sua vita e con il dono dello Spirito Santo ci fa vivere da veri figli di Dio”. E guardando alla liturgia odierna ha evidenziato:

Quando l’uomo vuole affermare se stesso, chiudendosi nel proprio egoismo e mettendosi al posto di Dio, finisce per seminare morte. E l’egoismo porta alla menzogna, con cui si cerca di ingannare se stessi e il prossimo. Ma Dio non si può ingannare:
Ha parlato del “Dio dei viventi, il Dio che si rende presente nella storia, che libera dalla schiavitù”, prima di spiegare il “dono dei Dieci Comandamenti”:

Una strada che Dio ci indica per una vita veramente libera, per una vita piena; non sono un inno al “no”: non devi fare questo, non devi fare questo, non devi fare questo. No! Sono un inno, al “sì”, a Dio, all’Amore, alla vita. Cari amici, la nostra vita è piena solo in Dio, perché solo Egli è il Vivente!

Il Papa ha evidenziato più volte che “tutta la Scrittura” ci ricorda che Dio è “colui che dona la vita e che indica la via della vita piena”.

"Gesù è l’incarnazione del Dio Vivente, Colui che porta la vita, di fronte a tante opere di morte, di fronte al peccato, all’egoismo, alla chiusura in se stessi. Gesù accoglie, ama, solleva, incoraggia, perdona e dona nuovamente la forza di camminare, ridona vita."

Grande è la “misericordia di Dio” e “sempre ci perdona”, ha ribadito Papa Francesco:

"Dio il Vivente è misericordioso. Siete d’accordo? Diciamolo insieme: Dio, il Vivente è misericordioso! Tutti: Dio, il Vivente, è misericordioso. Un’altra volta: Dio, il Vivente, è misericordioso!"
“E’ lo Spirito Santo, dono del Cristo Risorto” che “ci introduce nella vita divina come veri figli di Dio”, ha proseguito:

"Il cristiano è un uomo spirituale, e questo non significa che sia una persona che vive “nelle nuvole”, fuori della realtà, (come se fosse un fantasma), no! Il cristiano è una persona che pensa e agisce nella vita quotidiana secondo Dio, una persona che lascia che la sua vita sia animata, nutrita dallo Spirito Santo perché sia piena, da veri figli. E questo significa realismo e fecondità. Chi si lascia condurre dallo Spirito Santo è realista, sa misurare e valutare la realtà, ed è anche fecondo: la sua vita genera vita attorno a sé."
"Spesso l'uomo non sceglie la vita, non accoglie il Vangelo della vita - ha aggiunto - ma si lascia guidare da ideologie e logiche" orientate "dall’egoismo, dall’interesse, dal profitto, dal potere, dal piacere e non sono dettate dall’amore, dalla ricerca del bene dell’altro”:

E’ la costante illusione di voler costruire la città dell’uomo senza Dio, senza la vita e l’amore di Dio - una nuova Torre di Babele; è il pensare che il rifiuto di Dio, del Messaggio di Cristo, del Vangelo della vita, porti alla libertà, alla piena realizzazione dell’uomo. Il risultato è che al Dio Vivente vengono sostituiti idoli umani e passeggeri, che offrono l’ebbrezza di un momento di libertà, ma che alla fine sono portatori di nuove schiavitù e di morte.

“Solo la fede nel Dio Vivente ci salva - ha concluso- nel Dio che in Gesù Cristo ci ha donato la sua vita con il dono dello Spirito Santo e fa vivere da veri figli di Dio con la sua misericordia. Questa fede ci rende liberi e felici”.


E anche oggi tantissimi i fedeli festanti che hanno affollato piazza San Pietro per ascoltare Papa Francesco. Ma in che modo cercano di vivere la Parola di Dio nella loro vita quotidiana?

R. – Noi sappiamo che il Vangelo è la Parola della salvezza, Gesù il Verbo di Dio, l’unica salvezza nostra. La Parola mi chiama a convertirmi, perché cercando di applicare questa Parola nella mia vita troverò la mia salvezza.

R. – Cerco ogni giorno di portare il Vangelo con il mio esempio: avendo sempre un sorriso per gli altri, essendo di aiuto alle persone che mi sono vicine magari nei momenti più difficili …

R. – Nella nostra vita quotidiana viviamo il Vangelo nelle piccole azioni che possono anche sembrare ordinarie, cercando quindi di ricordare gli insegnamenti del Vangelo in ogni piccolo gesto.

R. – Consigliando di fare sempre del bene agli altri …

R. – Con gentilezza, prestando le cose, aiutandosi vicendevolmente …

R. – Cercando di essere una brava persona, tutti i giorni, con tutti. Semplicemente.

D. – Il Papa oggi ha parlato molto anche di perdono: il perdono da chiedere a Dio, il perdono da dare agli altri, di apertura alla vita, di apertura all’amore … Allora, in che modo accogliere tutte queste esortazioni che ci ha fatto Papa Francesco?

R. – Accogliendole nel cuore, chiedendo a Dio veramente di farle nostre.

R. – Innanzitutto accogliendo i figli e facendo in modo che possano crescere sempre con dei valori. La promozione alla vita è questa: la promozione ai valori. Se si rispetta il prossimo, sicuramente si rispetta la vita.

R. – Semplicemente, di vivere serenamente con il proprio prossimo. Poi, ovviamente, con la fede si riesce ad accettare molte cose che altrimenti non verrebbero accettate, nei rapporti con le altre persone.

R. – Soprattutto, è l’amore che deve portarci poi al perdono. Quindi, il perdono dev’essere il cardine che poi ci deve portare all’amore e alla vita.

giovedì 13 giugno 2013

No alla denigrazione dell'altro.


Il Signore ci conceda la grazia di fare attenzione ai commenti che facciamo sugli altri: è quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha pronunciato la sua omelia in spagnolo, essendo presente alla celebrazione il personale delle ambasciate e dei consolati dell’Argentina in Italia e presso la Fao. Era “dal 26 febbraio che non celebravo la Messa in spagnolo”, ha confidato il Papa, “mi ha fatto molto bene” ed ha ringraziato i partecipanti alla Messa per quello che fanno per la Patria.
“La vostra giustizia sia superiore a quella dei farisei”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia muovendo dall’esortazione rivolta da Gesù ai suoi discepoli. Parole che vengono dopo le Beatitudini e dopo che Gesù ha sottolineato che Lui non viene per dissolvere la Legge, ma per portarla a compimento. La sua, ha osservato, “è una riforma senza rottura, una riforma nella continuità: dal seme fino ad arrivare al frutto”. Colui che “entra nella vita cristiana”, ha poi avvertito, “ha esigenze superiori a quelle degli altri”, “non ha vantaggi superiori”. E Gesù menziona alcune di queste esigenze e tocca in particolare “il tema del rapporto negativo con i fratelli”. Colui che maledice, afferma Gesù, “merita l’inferno”. Se nel proprio cuore c’è “qualcosa di negativo” verso il fratello, ha commentato il Papa, “c’è qualcosa che non funziona e ti devi convertire, devi cambiare”. Ed ha soggiunto che “l’arrabbiatura è un insulto contro il fratello, è già qualcosa che si dà nella linea della morte”, “lo uccide”. Ha quindi osservato che, specie nella tradizione latina, c’è come una “creatività meravigliosa” nell’inventare epiteti. Ma, ha ammonito, “quando questo epiteto è amichevole va bene, il problema è quando c’è l’altro epiteto”, quando c’è “il meccanismo dell’insulto”, “una forma di denigrazione dell’altro”.

“Y no hace falta ir al psicologo...”
“E non c’è bisogno di andare dallo psicologo – ha detto il Papa - per sapere che quando uno denigra l’altro è perché lui stesso non può crescere e ha bisogno che l’altro sia abbassato, per sentirsi un qualcuno”. E’ questo è “un meccanismo brutto”. Gesù, ha evidenziato, “con tutta la semplicità dice”: “Non parlate male l’uno dell’altro. Non denigratevi. Non squalificatevi”. E ciò, ha proseguito, “perché in fondo tutti stiamo camminando sulla stessa strada”, “tutti andiamo su quella strada che ci porterà alla fine”. Quindi, è stata la sua riflessione, “se la cosa non va per una strada fraterna, tutti finiremo male: quello che insulta e l’insultato”. Il Papa ha poi osservato che “se uno non è capace di dominare la lingua, si perde”, e del resto “l’aggressività naturale, quella che ha avuto Caino con Abele, si ripete nell’arco della storia”. Non è che siamo cattivi, ha affermato il Papa, “siamo deboli e peccatori”. Ecco perché è “molto più semplice”, “sistemare una situazione con un insulto, con una calunnia, con una diffamazione che sistemarla con le buone”.
“Yo quisiera pedir al Señor que...”
“Io - ha detto Papa Francesco - vorrei chiedere al Signore che ci dia a tutti la grazia di fare attenzione maggiormente alla lingua, riguardo a quello che diciamo degli altri”. E’ “una piccola penitenza – ha aggiunto - ma dà buoni frutti”. “Delle volte – ha constatato - uno rimane affamato” e pensa: “Che peccato che non ho gustato il frutto di un commento delizioso contro l’altro”. Ma, ha detto, “alla lunga quella fame fruttifica e ci fa bene”. Ecco perché dobbiamo chiedere al Signore questa grazia: adeguare la nostra vita “a questa nuova Legge, che è la Legge della mitezza, la Legge dell’amore, la Legge della pace, e almeno ‘potare’ un po’ la nostra lingua, ‘potare’ un poco i commenti che facciamo verso gli altri o le esplosioni che ci portano all’insulto o alle arrabbiature facili. Che il Signore ci conceda a tutti questa grazia!”. “Vorrei ringraziare il Signore - ha concluso il Papa - anche per la felice coincidenza che l’arcivescovo maggiore degli ucraini”, Sua Beatitudine Sviatoslav Shevchuk, che fu già ausiliare dell'Eparchia di Santa Maria del Patrocinio en Buenos Aires degli Ucraini,
“sia a Roma per il Sinodo”. Così, ha detto il Papa, “ha potuto partecipare con noi a questa nostalgia argentina”.

mercoledì 12 giugno 2013

Una Chiesa senza Croce è una tentazione...la Chiesa sia umile.


Il trionfalismo ferma la Chiesa: è la tentazione del cristianesimo senza Croce, la Chiesa sia invece umile. E’ quanto ha affermato il Papa stamani nella Messa a “Santa Marta”. Erano presenti alcuni dipendenti del Governatorato.

Il Vangelo del giorno ci racconta di Gesù che, salendo con i discepoli verso Gerusalemme, annuncia la sua passione, morte e risurrezione. E’ il cammino della fede. I discepoli – spiega il Papa nell’omelia – pensano ad un altro progetto, pensano di fare solo metà del cammino, che è meglio fermarsi” e “discutevano fra loro come sistemare la Chiesa, come sistemare la salvezza”. Così, Giovanni e Giacomo gli chiedono di sedere, nella sua gloria, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, suscitando una discussione tra gli altri su chi fosse il più importante nella Chiesa. “La tentazione dei discepoli – sottolinea il Papa - è la stessa di Gesù nel deserto, quando il diavolo era andato per proporgli un altro cammino”: “Fa tutto in celerità, fa un miracolo, qualcosa che tutti ti vedono. Andiamo al tempio e fai il paracadutista senza l’apparecchio, così tutti vedranno il miracolo e la redenzione è fatta”. E’ la stessa tentazione di Pietro, quando in un primo momento non accetta la passione di Gesù. “E’ la tentazione di un cristianesimo senza croce, un cristianesimo a metà cammino”. C’è poi un’altra tentazione, “un cristianesimo con la Croce, senza Gesù” di cui – ha affermato – parlerà un’altra volta. Ma “la tentazione del cristianesimo senza Croce”, di essere “cristiani a metà cammino, una Chiesa a metà cammino” – che non vuole arrivare dove il Padre vuole, “è la tentazione del trionfalismo. Noi vogliamo il trionfo adesso, senza andare alla Croce, un trionfo mondano, un trionfo ragionevole”:

“Il trionfalismo nella Chiesa, ferma la Chiesa. Il trionfalismo nei cristiani, ferma i cristiani. E’ una Chiesa trionfalista, è una Chiesa a metà cammino, una Chiesa che è felice così, ben sistemata – ben sistemata! - con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, eh? Efficiente. Ma una Chiesa che rinnega i martiri, perché non sa che i martiri sono necessari alla Chiesa per il cammino di Croce. Una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi, che non sa quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento, il fallimento umano, il fallimento della Croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo”.

Il Papa, poi, rievoca un momento particolare della sua vita:

“Io ricordo una volta, ero in un momento buio della mia vita spirituale e chiedevo una grazia dal Signore. Poi sono andato a predicare gli esercizi alle suore e l’ultimo giorno si confessano. E’ venuta a confessarsi una suora anziana, più di 80 anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi: era una donna di Dio. Poi alla fine l’ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: 'Ma suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicuro'. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: 'Sicuro che il Signore le darà la grazia ma, non si sbagli: al suo modo divino'. Questo mi ha fatto tanto bene. Sentire che il Signore sempre ci dà quello che chiediamo, ma al suo modo divino. E il modo divino è questo fino alla fine. Il modo divino coinvolge la Croce, non per masochismo: no, no! Per amore. Per amore fino alla fine”.

Questa la preghiera conclusiva del Papa:

“Chiediamo al Signore la grazia di non essere una Chiesa a metà cammino, una Chiesa trionfalista, dei grandi successi, ma di essere una Chiesa umile, che cammina con decisione, come Gesù. Avanti, avanti, avanti. Cuore aperto alla volontà del Padre, come Gesù. Chiediamo questa grazia”.

Una Chiesa ricca è una Chiesa che invecchia: il Vangelo si annuncia con gratuità


Il Vangelo va annunciato con semplicità e gratuità: è quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha inoltre ribadito che, nella Chiesa, la testimonianza della povertà ci salva dal diventare dei meri organizzatori di opere. Ed ha avvertito che quando vogliamo fare una “Chiesa ricca”, la Chiesa “invecchia”, “non ha vita”. Alla Messa – concelebrata, tra gli altri, dall’arcivescovo Gerhard Ludwig Müller – hanno preso parte i sacerdoti e collaboratori della Congregazione per la Dottrina della Fede.

“Non procuratevi oro né argento né denaro nelle vostre cinture”. Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dall’esortazione rivolta da Gesù agli Apostoli inviati ad annunciare il Regno di Dio. Un annuncio, ha detto, che il Signore “vuole che si faccia con semplicità”. Quella semplicità “che lascia posto al potere della Parola di Dio”, perché se gli Apostoli non avessero avuto “fiducia nella Parola di Dio”, “forse avrebbero fatto un’altra cosa”. Papa Francesco ha dunque indicato la “parola-chiave” delle consegne date da Gesù: “Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date”. Tutto è grazia, ha soggiunto, e “quando noi vogliamo fare in una modalità dove la grazia” viene “un po’ lasciata da parte, il Vangelo non ha efficacia”:

“La predicazione evangelica nasce dalla gratuità, dallo stupore della salvezza che viene e quello che io ho ricevuto gratuitamente, devo darlo gratuitamente. E dall’inizio erano così, questi. San Pietro non aveva un conto in banca, e quando ha dovuto pagare le tasse il Signore lo ha mandato al mare a pescare un pesce e trovare la moneta dentro al pesce, per pagare. Filippo, quando ha trovato il ministro dell’economia della regina Candace, non ha pensato: ‘Ah, bene, facciamo un’organizzazione per sostenere il Vangelo…’ No! Non ha fatto un ‘negozio’ con lui: ha annunziato, ha battezzato e se n’è andato”.

Il Regno di Dio, ha proseguito, “è un dono gratuito”. Ed ha rilevato che, sin dalle origini della comunità cristiana, questo atteggiamento è stato soggetto a tentazione. C’è, ha detto, “la tentazione di cercare forza" altrove che nella gratuità, mentre la “nostra forza è la gratuità del Vangelo”. Ancora, ha rilevato che “sempre, nella Chiesa, c’è stata questa tentazione". E questo crea “un po’ una confusione”, ha avvertito, giacché così “l’annuncio sembra proselitismo, e per quella strada non si va”. Il Signore, ha aggiunto, “ci ha invitato ad annunciare, non a fare proseliti”. Citando Benedetto XVI, ha così sottolineato che “la Chiesa cresce non per proselitismo, ma per attrazione”. E questa attrazione, ha proseguito, viene dalla testimonianza di “quelli che dalla gratuità annunziano la gratuità della salvezza”:

“Tutto è grazia. Tutto. E quali sono i segni di quando un apostolo vive questa gratuità? Ce ne sono tanti, ma ne sottolineo due soltanto: primo, la povertà. L’annunzio del Vangelo deve andare per la strada della povertà. La testimonianza di questa povertà: non ho ricchezze, la mia ricchezza è soltanto il dono che ho ricevuto, Dio. Questa gratuità: questa è la nostra ricchezza! E questa povertà ci salva dal diventare organizzatori, imprenditori… Si devono portare avanti le opere della Chiesa, e alcune sono un po’ complesse; ma con cuore di povertà, non con cuore di investimento o di un imprenditore, no?”

“La Chiesa – ha aggiunto - non è una ong: è un’altra cosa, più importante, e nasce da questa gratuità. Ricevuta e annunziata”. La povertà, ha quindi ribadito, “è uno dei segni di questa gratuità”. L’altro segno, ha aggiunto Papa Francesco, “è la capacità di lode: quando un apostolo non vive questa gratuità, perde la capacità di lodare il Signore”. Lodare il Signore, infatti, “è essenzialmente gratuito, è un’orazione gratuita: non chiediamo, soltanto lodiamo”:

“Questi due sono i segni del fatto che un apostolo vive questa gratuità: la povertà e la capacità di lodare il Signore. E quando troviamo apostoli che vogliono fare una Chiesa ricca e una Chiesa senza la gratuità della lode, la Chiesa invecchia, la Chiesa diventa una ong, la Chiesa non ha vita. Chiediamo oggi al Signore la grazia di riconoscere questa gratuità: ‘Gratuitamente avete ricevuto, gratuitamente date’. Riconoscere questa gratuità, quel dono di Dio. E anche noi andare avanti nella predicazione evangelica con questa gratuità”.

Per capire le Beatitudini bisogna aprire il cuore


La vera libertà nasce dall’aprire la porta del cuore al Signore: è quanto sottolineato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha affermato che la salvezza è vivere nella consolazione dello Spirito Santo, non nella consolazione dello spirito del mondo. Alla Messa - concelebrata dal cardinale Stanislaw Rylko, da mons. Josef Clemens e da mons. George Valiamattam, arcivescovo indiano di Tellicherry - ha preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori del Pontificio Consiglio per i Laici.

Cos’è la consolazione per un cristiano? Papa Francesco ha iniziato la sua omelia osservando che San Paolo, all'inizio della seconda Lettera ai Corinzi, utilizza numerose volte la parola consolazione. L’Apostolo delle Genti, ha aggiunto, “parla ai cristiani giovani nella fede”, persone che “hanno incominciato da poco la strada di Gesù”. E insiste proprio su questo, anche se “non erano tutti perseguitati”. Erano persone normali, “ma avevano trovato Gesù”. Proprio questo, ha affermato, “è un cambiamento di vita tale che era necessaria una forza speciale di Dio” e questa forza è la consolazione. La consolazione, ha detto ancora, “è la presenza di Dio nel nostro cuore”. Ma, ha avvertito, perché il Signore “sia nel nostro cuore, è necessario aprire la porta”, è necessaria la nostra “conversione”:

“La salvezza è questo: vivere nella consolazione dello Spirito Santo, non vivere nella consolazione dello spirito del mondo. No, quella non è salvezza, quello è peccato. La salvezza è andare avanti e aprire il cuore, perché venga questa consolazione dello Spirito Santo, che è la salvezza. Ma non si può negoziare un po’ di qua e un po’ di là? Fare un po’ una macedonia, diciamo, no? Un po’ di Spirito Santo, un po’ di spirito del mondo... No! Una cosa o l’altra”.

Il Signore, ha proseguito, lo dice chiaramente: “Non si possono servire due padroni: o si serve il Signore o si serve lo spirito del mondo”. Non si possono “mischiare”. Ecco allora che, quando siamo aperti allo Spirito del Signore, possiamo capire la “nuova legge che il Signore ci porta”: le Beatitudini, di cui narra il Vangelo odierno. Queste Beatitudini, ha soggiunto, “soltanto si capiscono se uno ha il cuore aperto, si capiscono dalla consolazione dello Spirito Santo”, mentre “non si possono capire con l’intelligenza umana soltanto”:

“Sono i nuovi comandamenti. Ma se noi non abbiamo il cuore aperto allo Spirito Santo, sembreranno sciocchezze. ‘Ma, guarda, essere poveri, essere miti, essere misericordiosi non sembra una cosa che ci porti al successo’. Se non abbiamo il cuore aperto e se non abbiamo gustato quella consolazione dello Spirito Santo, che è la salvezza, non si capisce questo. Questa è la legge per quelli che sono stati salvati e hanno aperto il loro cuore alla salvezza. Questa è la legge dei liberi, con quella libertà dello Spirito Santo”.

Uno, ha detto Papa Francesco, “può regolare la sua vita, sistemarla su un elenco di comandamenti o procedimenti”, un elenco “meramente umano”. Ma questo “alla fine non ci porta alla salvezza”, solo il cuore aperto ci porta alla salvezza. Ha così rammentato che tanti erano interessati a “esaminare” la “dottrina nuova e poi litigare con Gesù”. E ciò accadeva perché “avevano il cuore chiuso nelle loro cose”, “cose che Dio voleva cambiare”. Perché, dunque, si chiede il Papa, ci sono persone che “hanno il cuore chiuso alla salvezza?” Perché, è la sua risposta, “abbiamo paura della salvezza. Abbiamo bisogno, ma abbiamo paura”, perché quando viene il Signore “per salvarci dobbiamo dare tutto. E comanda Lui! E di questo abbiamo paura”, perché “vogliamo comandare noi”. E ha aggiunto che, per capire “questi nuovi comandamenti”, abbiamo bisogno della libertà che “nasce dallo Spirito Santo, che ci salva, che ci consola” e “dà la vita”:

“Possiamo oggi chiedere al Signore la grazia di seguirlo, ma con questa libertà. Perché se noi vogliamo seguirlo con la nostra libertà umana soltanto, alla fine diventeremo ipocriti come quei farisei e sadducei, quelli che litigavano con Lui. L’ipocrisia è questo: non lasciare che lo Spirito cambi il cuore con la sua salvezza. La libertà dello Spirito, che ci dà lo Spirito, anche è una sorta di schiavitù, una ‘schiavitù’ al Signore che ci fa liberi, è un’altra libertà. Invece, la libertà nostra soltanto è una schiavitù, ma non al Signore, ma allo spirito del mondo. Chiediamo la grazia di aprire il nostro cuore alla consolazione dello Spirito Santo, perché questa consolazione, che è la salvezza, ci faccia capire bene questi comandamenti. Così sia!"

Gesù ci ha amato non con le parole ma con le opere e con la sua vita.


Lasciarci amare dal Signore con tenerezza è difficile ma è quanto dobbiamo chiedere a Dio: è l’invito di Papa Francesco nella Messa di stamani a “Santa Marta”, parlando dell’odierna solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù. Era presente il personale dell’Archivio Segreto Vaticano: a concelebrare l’archivista di Santa Romana Chiesa, mons. Jean-Louis Bruguès, e il prefetto, mons. Sergio Pagano.

Gesù ci ha amato tanto non con le parole ma con le opere e con la sua vita. Papa Francesco lo ripete più volte nell’omelia di oggi, nella solennità del Sacratissimo Cuore di Gesù che lui stesso definisce “la festa dell’amore”, di un “cuore che ha amato tanto”. Un amore che, come ripeteva Sant’Ignazio, “si manifesta più nelle opere che nelle parole” e che è soprattutto “più dare che ricevere”. “Questi due criteri – evidenzia il Papa – sono come i pilastri del vero amore” ed è il Buon Pastore a rappresentare in tutto l’amore di Dio. Lui conosce una per una le sue pecorelle, “perché – aggiunge Papa Francesco – l’amore non è un amore astratto o generale: è l’amore verso ognuno”:

“Un Dio che si fa vicino per amore, cammina con il suo popolo e questo camminare arriva ad un punto che è inimmaginabile. Mai si può pensare che lo stesso Signore si fa uno di noi e cammina con noi, rimane con noi, rimane nella sua Chiesa, rimane nell’Eucarestia, rimane nella sua Parola, rimane nei poveri, rimane con noi camminando. E questa è vicinanza: il pastore vicino al suo gregge, vicino alle sue pecorelle, che conosce una ad una”.

Spiegando ancora un passaggio del Libro del profeta Ezechiele, il Papa mette in luce un altro aspetto dell’amore di Dio: la cura per la pecora smarrita e per quella ferita e malata:

“Tenerezza! Ma il Signore ci ama con tenerezza. Il Signore sa quella bella scienza delle carezze, quella tenerezza di Dio. Non ci ama con le parole. Lui si avvicina – vicinanza – e ci dà quell’amore con tenerezza. Vicinanza e tenerezza! Queste due maniere dell’amore del Signore che si fa vicino e dà tutto il suo amore con le cose anche più piccole: con la tenerezza. E questo è un amore forte, perché vicinanza e tenerezza ci fanno vedere la fortezza dell’amore di Dio”.

“Ma amate voi come io vi ho amato?” è questa la domanda che Papa Francesco pone, sottolineando come l’amore debba “farsi vicino al prossimo”, debba essere “come quello del buon samaritano” e in particolare nel segno della “vicinanza e tenerezza”. Ma come restituire tutto questo amore al Signore? È l’altro punto sul quale il Pontefice si sofferma: senz’altro “amandolo”, farsi “vicini a Lui”, “teneri con Lui”, ma questo non basta:

“Questa può sembrare un’eresia, ma è la verità più grande! Più difficile che amare Dio è lasciarci amare da Lui! La maniera di ridare tanto amore è aprire il cuore e lasciarci amare. Lasciare che Lui si faccia vicino a noi e sentirlo vicino. Lasciare che Lui si faccia tenero, ci carezzi. Quello è tanto difficile: lasciarci amare da Lui. E questo è forse quello che dobbiamo chiedere oggi nella Messa: ‘Signore io voglio amarti, ma insegnami la difficile scienza, la difficile abitudine di lasciarmi amare da Te, di sentirti vicino e di sentirti tenero!’. Che il Signore ci dia questa grazia!”.

Smascheriamo gli idoli che ci impediscono di amare Dio


Ognuno di noi vive di piccole o grandi idolatrie, ma la strada che porta a Dio passa per un amore esclusivo a Lui, come ci ha insegnato Gesù. Lo ha affermato Papa Francesco nella Messa di questa mattina a Casa Santa Marta. A concelebrare col Papa vi erano tre presuli – l’arcivescovo di Curitiba in Brasile, José Vitti, di Ibiza in Spagna, Juan Segura, e di Sagar in India, Chirayath Anthony. Presenti anche dei collaboratori della Biblioteca Apostolica Vaticana, accompagnati dal viceprefetto Ambrogio Paizzoni, e un gruppo del personale laico dell’Università Lateranense, accompagnati dal prorettore, mons. Patrick Valdrini. 

Quando lo scriba avvicina Gesù per chiedergli quale sia, secondo Lui, “il primo di tutti i comandamenti” è probabile che la sua intenzione non fosse tanto innocente. Papa Francesco comincia l’omelia valutando il comportamento dell’uomo che, nel racconto evangelico della liturgia odierna, si rivolge a Cristo dando l’impressione di “metterlo alla prova”, se non proprio di “farlo cadere nella trappola”. E quando – alla citazione biblica di Gesù: “Ascolta, Israele. Il Signore è nostro Dio, è l’unico Signore” – lo scriba replica approvando, il Papa richiama l’attenzione sul commento di Cristo: “Non sei lontano dal Regno di Dio”. In sostanza, spiega Papa Francesco, con quel "non sei lontano" Gesù ha voluto dire allo scriba: “Tu sai bene la teoria”, ma “ancora ti manca una distanza dal Regno di Dio”, cioè devi camminare per trasformare in “realtà questo comandamento”, giacché “la confessione di Dio” si fa nel “cammino della vita”:

“Non basta dire: ‘Ma io credo in Dio, Dio è l’unico Dio’. Va tutto bene, ma come vivi tu questo nella strada della vita? Perché noi possiamo dire: ‘Il Signore è l’unico Dio, soltanto, non ce ne è un altro’, ma vivere come se Lui non fosse l’unico Dio e avere altre divinità a nostra disposizione… C’è il pericolo dell’idolatria: l’idolatria che è portata a noi con lo spirito del mondo. E Gesù, in questo, era chiaro: lo spirito del mondo, no. E chiede al Padre che ci difenda dallo spirito del mondo, Gesù, nell’ultima cena, perché lo spirito del mondo ci porta all’idolatria”.

“L’idolatria – prosegue Papa Francesco – è sottile”, tutti “noi abbiamo i nostri idoli nascosti” e “la strada della vita per arrivare, per non essere lontano dal Regno di Dio” comporta lo “scoprire gli idoli nascosti”. Un comportamento rintracciabile già nella Bibbia – ricorda il Papa – nell’episodio in cui Rachele, moglie di Giacobbe, finge di non avere con sé gli idoli che invece ha portato via dalla casa di suo padre e nascosto dietro la sua cavalcatura. Anche noi, afferma Papa Francesco, “li abbiamo nascosti in una cavalcatura, nostra… Ma dobbiamo cercarli e dobbiamo distruggerli”, perché per seguire Dio l’unica strada è quella di un amore fondato sulla “fedeltà”:

“E la fedeltà ci chiede di cacciare via gli idoli, scoprirli: sono nascosti nella nostra personalità, nel nostro modo di vivere. Ma questi idoli nascosti fanno che noi non siamo fedeli nell’amore. L’Apostolo Giacomo, quando dice 'Chi è amico del mondo, è nemico di Dio', incomincia dicendo: 'Adulteri!'. Ci rimprovera, ma con quell'aggettivo: adulteri. Perché? Perché chi è 'amico' del mondo è un idolatra, non è fedele all’amore di Dio! La strada per non essere lontano, per avanzare, per andare avanti nel Regno di Dio, è una strada di fedeltà che assomiglia a quella dell’amore nuziale”.
Pur “con le piccole o non tanto piccole idolatrie che abbiamo”, com’è possibile – si chiede in conclusione Papa Francesco – non essere fedeli “a un amore tanto grande?”. Per farlo, occorre confidare in Cristo, che è “fedeltà piena” e che “ci ama tanto”:

“Possiamo chiedere oggi a Gesù: ‘Signore, tu sei tanto buono, insegnami questa strada per essere ogni giorno meno lontano dal Regno di Dio, questa strada per cacciare via tutti gli idoli’. E’ difficile, ma dobbiamo incominciare… Gli idoli nascosti nelle tante cavalcature, che noi abbiamo nella nostra personalità, nel modo di vivere: cacciare via l’idolo della mondanità, che ci porta a diventare nemici di Dio. Chiediamo questa grazia a Gesù, oggi”.

Quello che comanda oggi non è l'uomo, è il denaro: il denaro, i soldi comandano.

E’ stata dedicata all’odierna Giornata Mondiale dell’Ambiente, la catechesi del Papa all’udienza generale di stamani. Un evento – ha detto - promosso dalle Nazioni Unite, occasione per lanciare “un forte richiamo alla necessità di eliminare gli sprechi e la distruzione di alimenti”. “Quando parliamo di ambiente, del creato – ha aggiunto - il mio pensiero va alle prime pagine della Bibbia, al Libro della Genesi, dove si afferma che Dio pose l’uomo e la donna sulla terra perché la coltivassero e la custodissero (cfr 2,15). E mi sorgono le domande: Che cosa vuol dire coltivare e custodire la terra? Noi stiamo veramente coltivando e custodendo il creato? Oppure lo stiamo sfruttando e trascurando? Il verbo “coltivare” mi richiama alla mente la cura che l’agricoltore ha per la sua terra perché dia frutto ed esso sia condiviso: quanta attenzione, passione e dedizione! Coltivare e custodire il creato è un’indicazione di Dio data non solo all’inizio della storia, ma a ciascuno di noi; è parte del suo progetto; vuol dire far crescere il mondo con responsabilità, trasformarlo perché sia un giardino, un luogo abitabile per tutti. Benedetto XVI ha ricordato più volte che questo compito affidatoci da Dio Creatore richiede di cogliere il ritmo e la logica della creazione. Noi invece siamo spesso guidati dalla superbia del dominare, del possedere, del manipolare, dello sfruttare; no, non la “custodiamo”, non la rispettiamo, non la consideriamo come un dono gratuito di cui avere cura. Stiamo perdendo l’atteggiamento dello stupore, della contemplazione, dell’ascolto della creazione; e così non riusciamo più a leggervi quello che Benedetto XVI chiama “il ritmo della storia di amore di Dio con l’uomo”. Perché avviene questo? Perché pensiamo e viviamo in modo orizzontale, ci siamo allontanati da Dio, non leggiamo i suoi segni”.

Poi ha proseguito: “Ma il ‘coltivare e custodire’ non comprende solo il rapporto tra noi e l’ambiente, tra l’uomo e il creato, riguarda anche i rapporti umani. I Papi hanno parlato di ecologia umana, strettamente legata all’ecologia ambientale. Noi stiamo vivendo un momento di crisi; lo vediamo nell’ambiente, ma soprattutto lo vediamo nell’uomo. La persona umana è in pericolo, ma questo è certo, eh! La persona umana oggi è in pericolo! Ecco l’urgenza dell’ecologia umana! E il pericolo è grave perché la causa del problema non è superficiale, ma profonda: non è solo una questione di economia, ma di etica e di antropologia. La Chiesa lo ha sottolineato più volte; e molti dicono: sì, è giusto, è vero… ma il sistema continua come prima, perché ciò che domina sono le dinamiche di un’economia e di una finanza carenti di etica”.

Ha braccio ha aggiunto: “Quello che comanda oggi non è l’uomo, è il denaro: il denaro, i soldi comandano! Dio, Nostro Padre, ha dato il compito di custodire la terra no ai soldi, a noi: gli uomini e le donne! Noi abbiamo questo compito!”. “Così – ha proseguito - uomini e donne vengono sacrificati agli idoli del profitto e del consumo: è la “cultura dello scarto”. Se si rompe un computer è una tragedia, ma la povertà, i bisogni, i drammi di tante persone finiscono per entrare nella normalità…”. E a braccio ha affermato: "Se una notte di inverno", in strada, "muore una persona, quella non è notizia. Se in tante parti del mondo ci sono bambini che non hanno da mangiare, quella non è notizia. Sembra normale! Non può essere questo! E queste cose entrano nella normalità: che alcune persone senza tetto muoiano di freddo per la strada, non c’è notizia… Al contrario di questo, per esempio, un abbassamento di 10 punti nelle Borse di alcune città, costituisce una tragedia. Quello che muore non è notizia, ma se calano 10 punti le Borse è una tragedia. Così le persone vengono ‘scartate’. Noi, le persone, veniamo scartati, come se fossimo rifiuti”.

Questa “cultura dello scarto” – ha proseguito – “tende a diventare mentalità comune, che contagia tutti. La vita umana, la persona non sono più sentite come valore primario da rispettare e tutelare, specie se è povera o disabile, se non serve ancora – come il nascituro –, o non serve più – come l’anziano. Questa cultura dello scarto ci ha resi insensibili anche agli sprechi e agli scarti alimentari, che sono ancora più deprecabili quando in ogni parte del mondo, purtroppo, molte persone e famiglie soffrono fame e malnutrizione. Una volta i nostri nonni erano molto attenti a non gettare nulla del cibo avanzato. Il consumismo ci ha indotti ad abituarci al superfluo e allo spreco quotidiano di cibo, al quale talvolta non siamo più in grado di dare il giusto valore, che va ben al di là dei meri parametri economici. Ricordiamo bene, però, che il cibo che si butta via è come se fosse rubato dalla mensa di chi è povero, di chi ha fame! Invito tutti a riflettere sul problema della perdita e dello spreco del cibo per individuare vie e modi che, affrontando seriamente tale problematica, siano veicolo di solidarietà e di condivisione con i più bisognosi”.

“Pochi giorni fa, nella Festa del Corpus Domini – ha sottolineato - abbiamo letto il racconto del miracolo dei pani: Gesù dà da mangiare alla folla con cinque pani e due pesci. E la conclusione del brano è importante: «Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi avanzati: dodici ceste» (Lc 9,17). Gesù chiede ai discepoli che nulla vada perduto: niente scarti! E c’è questo fatto delle dodici ceste: perché dodici? Che cosa significa? Dodici è il numero delle tribù d’Israele, rappresenta simbolicamente tutto il popolo. E questo ci dice che quando il cibo viene condiviso in modo equo, con solidarietà, nessuno è privo del necessario, ogni comunità può andare incontro ai bisogni dei più poveri. Ecologia umana ed ecologia ambientale camminano insieme. Vorrei allora che prendessimo tutti il serio impegno di rispettare e custodire il creato, di essere attenti ad ogni persona, di contrastare la cultura dello spreco e dello scarto, per promuovere una cultura della solidarietà e dell’incontro. Grazie!”.

I corrotti fanno tanto male alla Chiesa.

Peccatori, corrotti e santi. Papa Francesco ha incentrato su questo trinomio la sua omelia per la Messa di stamani nella Casa Santa Marta. Il Papa ha sottolineato che i corrotti fanno tanto male alla Chiesa perché sono adoratori di se stessi; i santi invece fanno tanto bene, sono luce nella Chiesa. Alla Messa – concelebrata con il cardinale Angelo Amato – ha preso parte un gruppo di sacerdoti e collaboratori della Congregazione delle Cause dei Santi e un gruppo di Gentiluomini di Sua Santità.

Cosa succede quando vogliamo diventare noi i padroni della vigna? Papa Francesco ha sviluppato la sua omelia partendo dal Vangelo odierno sulla parabola dei vignaioli malvagi per soffermarsi sui “tre modelli di cristiani nella Chiesa: i peccatori, i corrotti e i santi”. Il Papa ha osservato che dei peccatori “non è necessario parlare troppo, perché tutti noi lo siamo”. Ci conosciamo “da dentro – ha proseguito – e sappiamo cosa è un peccatore. E se qualcuno di noi non si sente così, vada a farsi una visita dal medico spirituale”, perché “qualcosa non va”. La parabola, però, ci parla di un’altra figura, di quelli che vogliono “impadronirsi della vigna e hanno perso il rapporto con il Padrone della vigna”. Un Padrone che “ci ha chiamato con amore, ci custodisce, ma poi ci dà la libertà”. Queste persone “si son sentite forti, si sono sentite autonome da Dio”:

“Questi, pian pianino, sono scivolati su quella autonomia, l’autonomia nel rapporto con Dio: ‘Noi non abbiamo bisogno di quel Padrone, che non venga a disturbarci!’. E noi andiamo avanti con questo. Questi sono i corrotti! Quelli che erano peccatori come tutti noi, ma hanno fatto un passo avanti, come se fossero proprio consolidati nel peccato: non hanno bisogno di Dio! Ma questo sembra, perché nel loro codice genetico c’è questo rapporto con Dio. E come questo non possono negarlo, fanno un dio speciale: loro stessi sono dio. Sono i corrotti”.

Questo, ha aggiunto, “è un pericolo anche per noi”. Nelle “comunità cristiane”, ha detto ancora, i corrotti pensano solo al proprio gruppo: “Buono, buono. E’ di noi” - pensano - ma, in realtà, "sono loro per se stessi”:

“Giuda ha incominciato: da peccatore avaro è finito nella corruzione. E’ una strada pericolosa la strada dell’autonomia: i corrotti sono grandi smemorati, hanno dimenticato questo amore, con il quale il Signore ha fatto la vigna, ha fatto loro! Hanno tagliato il rapporto con questo amore! E loro diventano adoratori di se stessi. Quanto male fanno i corrotti nelle comunità cristiane! Che il Signore ci liberi dallo scivolare su questa strada della corruzione”.
Il Papa ha così parlato dei santi, ricordando che oggi è il cinquantesimo della morte di Papa Giovanni XXIII, “modello di santità”. Nel Vangelo di oggi, ha soggiunto, i santi sono quelli che “vanno a prendere l’affitto” della vigna. “Loro sanno cosa li aspetta, ma devono farlo e fanno il loro dovere”:

“I santi, quelli che obbediscono al Signore, quelli che adorano il Signore, quelli che non hanno perso la memoria dell’amore, con il quale il Signore ha fatto la vigna. I santi nella Chiesa. E così come i corrotti fanno tanto male alla Chiesa, i santi fanno tanto bene. Dei corrotti, l’apostolo Giovanni dice che sono l’anticristo, che sono in mezzo a noi, ma non sono di noi. Dei santi la Parola di Dio ci parla come di luce, ‘quelli che saranno davanti al trono di Dio, in adorazione’. Chiediamo oggi al Signore la grazia di sentirci peccatori, ma davvero peccatori, non peccatori così diffusi (generici ndr), ma peccatori per questo, questo e questo, concreti, con la concretezza del peccato. La grazia di non diventare corrotti: peccatori sì, corrotti no! E la grazia di andare sulla strada della santità. Così sia”.

o: Mettere a disposizione di Dio quello che abbiamo.

Sequela, comunione, condivisione, attraverso queste tre parole Papa Francesco declina la sua omelia, improntata al Vangelo di Luca sul miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci. Il Papa ci parla della folla, della moltitudine che segue Gesù, per dirci che ascoltarlo significa fare della nostra vita un dono. Stasera, indica il Papa, “noi siamo la folla del Vangelo, anche noi cerchiamo di seguire Gesù per ascoltarlo, per entrare in comunione con Lui nell’Eucaristia, per accompagnarlo e perché ci accompagni”. Quella folla, di cui ci racconta Luca, ascolta Gesù perché “parla e agisce in modo nuovo”, con verità, con l’autorità di chi “è rivelazione del Volto di un Dio che è amore”.

"Chiediamoci: come seguo io Gesù? Gesù parla in silenzio nel Mistero dell’Eucaristia e ogni volta ci ricorda che seguirlo vuol dire uscire da noi stessi e fare della nostra vita non un nostro possesso, ma un dono a Lui e agli altri".

Agli apostoli Gesù chiede di sfamare quella folla, che per seguirlo si trova all’aperto, lontana dai centri abitati all’imbrunire. Per i suoi discepoli, nonostante la necessità della moltitudine, la soluzione, ci spiega il Papa, è tutt’altra: ognuno pensi a se stesso, congedare la folla. Di qui l’appello ai fedeli:

"Quante volte noi cristiani abbiamo questa tentazione! Non ci facciamo carico delle necessità degli altri, congedandoli con un pietoso: “Che Dio ti aiuti. O con un non tanto pietoso: “Felice sorte… e se non ti vedo più…”


Ciò che invece Gesù propone agli Apostoli è altro, e li sorprende: chiede loro di dare da mangiare, nonostante i soli cinque pani e due pesci. E così avviene. E’ un momento di profonda comunione, questo di cui parla Papa Francesco: “Questa sera – ci dice – anche noi siamo attorno alla mensa del Signore, alla mensa del Sacrificio eucaristico, in cui Egli ci dona ancora una volta il suo corpo, rende presente l’unico sacrificio della Croce”.

"E’ nell’ascoltare la sua Parola, nel nutrirci del suo Corpo e del suo Sangue, che Egli ci fa passare dall’essere moltitudine all’essere comunità, dall’anonimato alla comunione.".

“L’Eucaristia, prosegue, è il Sacramento della comunione, che ci fa uscire dall’individualismo per vivere insieme la sequela, la fede in Lui”.

"Allora dovremmo chiederci tutti davanti al Signore: come vivo io l’Eucaristia? La vivo in modo anonimo o come momento di vera comunione con il Signore, ma anche con tutti fratelli e sorelle che condividono questa stessa mensa? Come sono le nostre celebrazioni eucaristiche"?
Terzo e ultimo elemento: da dove nasce la moltiplicazione dei pani? Il Papa ci aiuta a individuare la risposta “nell’invito di Gesù ai discepoli «Voi stessi date…», “dare”, condividere”.

"E questo ci dice che nella Chiesa, ma anche nella società, una parola chiave di cui non dobbiamo avere paura è “solidarietà”, saper mettere, cioè, a disposizione di Dio quello che abbiamo, le nostre umili capacità, perché solo nella condivisione, nel dono, la nostra vita sarà feconda, porterà frutto. Solidarietà: una parola malvista dallo spirito mondano!"

In conclusione, Papa Francesco ci dice come ancora una volta, stasera, “il Signore distribuisce per noi il pane che è il suo Corpo, Lui si fa dono”. “E anche noi sperimentiamo la “solidarietà di Dio” con l’uomo, una solidarietà che mai si esaurisce, una solidarietà che non finisce di stupirci: Dio si fa vicino a noi, nel sacrificio della Croce si abbassa entrando nel buio della morte per darci la sua vita, che vince il male, l’egoismo, e la morte.

"Nell’Eucaristia il Signore ci fa percorrere la sua strada, quella del servizio, della condivisione, del dono, e quel poco che abbiamo, quel poco che siamo, se condiviso, diventa ricchezza, perché la potenza di Dio, che è quella dell’amore, scende nella nostra povertà per trasformarla."
Papa Francesco si congeda dunque dai fedeli, affidandoci un importante compito, quello di chiederci tutti se grazie all’adorazione di Cristo presente nell’Eucaristia, ci lasciamo trasformare da lui, se consentiamo al Signore che si è donato a noi, di guidarci per farci uscire dai nostri piccoli recinti e per non farci avere paura di donare, di condividere, di amare Lui e gli altri.

Una Chiesa senza Croce è una tentazione...la Chiesa sia umile.


Il trionfalismo ferma la Chiesa: è la tentazione del cristianesimo senza Croce, la Chiesa sia invece umile. E’ quanto ha affermato il Papa stamani nella Messa a “Santa Marta”. Erano presenti alcuni dipendenti del Governatorato.

Il Vangelo del giorno ci racconta di Gesù che, salendo con i discepoli verso Gerusalemme, annuncia la sua passione, morte e risurrezione. E’ il cammino della fede. I discepoli – spiega il Papa nell’omelia – pensano ad un altro progetto, pensano di fare solo metà del cammino, che è meglio fermarsi” e “discutevano fra loro come sistemare la Chiesa, come sistemare la salvezza”. Così, Giovanni e Giacomo gli chiedono di sedere, nella sua gloria, uno alla sua destra e uno alla sua sinistra, suscitando una discussione tra gli altri su chi fosse il più importante nella Chiesa. “La tentazione dei discepoli – sottolinea il Papa - è la stessa di Gesù nel deserto, quando il diavolo era andato per proporgli un altro cammino”: “Fa tutto in celerità, fa un miracolo, qualcosa che tutti ti vedono. Andiamo al tempio e fai il paracadutista senza l’apparecchio, così tutti vedranno il miracolo e la redenzione è fatta”. E’ la stessa tentazione di Pietro, quando in un primo momento non accetta la passione di Gesù. “E’ la tentazione di un cristianesimo senza croce, un cristianesimo a metà cammino”. C’è poi un’altra tentazione, “un cristianesimo con la Croce, senza Gesù” di cui – ha affermato – parlerà un’altra volta. Ma “la tentazione del cristianesimo senza Croce”, di essere “cristiani a metà cammino, una Chiesa a metà cammino” – che non vuole arrivare dove il Padre vuole, “è la tentazione del trionfalismo. Noi vogliamo il trionfo adesso, senza andare alla Croce, un trionfo mondano, un trionfo ragionevole”:

“Il trionfalismo nella Chiesa, ferma la Chiesa. Il trionfalismo nei cristiani, ferma i cristiani. E’ una Chiesa trionfalista, è una Chiesa a metà cammino, una Chiesa che è felice così, ben sistemata – ben sistemata! - con tutti gli uffici, tutto a posto, tutto bello, eh? Efficiente. Ma una Chiesa che rinnega i martiri, perché non sa che i martiri sono necessari alla Chiesa per il cammino di Croce. Una Chiesa che soltanto pensa ai trionfi, ai successi, che non sa quella regola di Gesù: la regola del trionfo tramite il fallimento, il fallimento umano, il fallimento della Croce. E questa è una tentazione che tutti noi abbiamo”.

Il Papa, poi, rievoca un momento particolare della sua vita:

“Io ricordo una volta, ero in un momento buio della mia vita spirituale e chiedevo una grazia dal Signore. Poi sono andato a predicare gli esercizi alle suore e l’ultimo giorno si confessano. E’ venuta a confessarsi una suora anziana, più di 80 anni, ma con gli occhi chiari, proprio luminosi: era una donna di Dio. Poi alla fine l’ho vista tanto donna di Dio che le ho detto: 'Ma suora, come penitenza preghi per me, perché ho bisogno di una grazia, eh? Se lei la chiede al Signore, me la darà sicuro'. Lei si è fermata un attimo, come se pregasse, e mi ha detto questo: 'Sicuro che il Signore le darà la grazia ma, non si sbagli: al suo modo divino'. Questo mi ha fatto tanto bene. Sentire che il Signore sempre ci dà quello che chiediamo, ma al suo modo divino. E il modo divino è questo fino alla fine. Il modo divino coinvolge la Croce, non per masochismo: no, no! Per amore. Per amore fino alla fine”.

Questa la preghiera conclusiva del Papa:

“Chiediamo al Signore la grazia di non essere una Chiesa a metà cammino, una Chiesa trionfalista, dei grandi successi, ma di essere una Chiesa umile, che cammina con decisione, come Gesù. Avanti, avanti, avanti. Cuore aperto alla volontà del Padre, come Gesù. Chiediamo questa grazia”.

Non si segue Gesù per fare carriera.La sua via è quella della Croce.

L’annuncio di Gesù non è una patina, una vernice, ma va dentro al cuore e ci cambia. E’ quanto affermato da Papa Francesco nella Messa di stamani alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi ribadito che seguire Gesù non vuol dire avere più potere, perché la sua strada è quella della Croce. Alla Messa, concelebrata da mons. Rino Fisichella e mons. José Octavio Ruiz Arenas, presidente e segretario del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, hanno preso parte un gruppo di sacerdoti dello stesso dicastero e un gruppo di dipendenti della Centrale termoelettrica e del Laboratorio di falegnameria del Governatorato vaticano, accompagnati dall’ing. Pier Carlo Cuscianna, direttore dei Servizi Tecnici del Governatorato.

Quale sarà il premio che riceveremo nel seguirti? Papa Francesco ha svolto la sua omelia partendo dalla domanda che Pietro rivolge a Gesù e che, in fondo, riguarda la vita di ogni cristiano. Gesù, ha osservato il Papa, risponde che quanti lo seguiranno avranno “tante cose belle” ma “con persecuzione”. La strada del Signore, ha proseguito, “è una strada di ‘abbassamento’, una strada che finisce nella Croce”. Ecco perché, ha soggiunto, “sempre ci saranno le difficoltà”, “le persecuzioni”. Ci saranno sempre, “perché Lui ha fatto questa strada prima” di noi. E ha avvertito che “quando un cristiano non ha difficoltà nella vita – tutto va bene, tutto è bello – qualcosa non va”. Si può pensare che sia “molto amico dello spirito del mondo, della mondanità”. E questo, ha constatato, “è la tentazione propria di un cristiano”:

“Seguire Gesù sì, ma fino a un certo punto; seguire Gesù come una forma culturale: sono cristiano, ho questa cultura… Ma senza l’esigenza della vera sequela di Gesù, l’esigenza di andare sulla sua strada. Se si segue Gesù come una proposta culturale, si usa questa strada per andare più in alto, per avere più potere. E la storia della Chiesa è piena di questo, cominciando da alcuni imperatori e poi tanti governanti e tante persone, no? E anche alcuni - non voglio dire tanti ma alcuni - preti, alcuni vescovi, no? Alcuni dicono che sono tanti… ma alcuni che pensano che seguire Gesù è fare carriera”.

Il Papa ha rammentato che un tempo, “nella letteratura di due secoli fa”, a volte si usava dire che uno “da bambino aveva voglia di fare la carriera ecclesiastica”. E ha ribadito che “tanti cristiani, tentati dallo spirito del mondo, pensano che seguire Gesù è buono perché si può far carriera, si può andare avanti”. Ma questo “non è lo spirito” è, invece, l’atteggiamento di Pietro che parla di carriera e Gesù gli risponde: “Sì, ti darò tutto con persecuzione”. “Non si può togliere la Croce dalla strada di Gesù: sempre c’è”. E tuttavia, ha avvertito, questo non vuol dire che il cristiano deve farsi del male. Il cristiano “segue Gesù per amore e quando si segue Gesù per amore, l’invidia del diavolo fa tante cose”. Lo “spirito del mondo – ha osservato – non tollera questo, non tollera la testimonianza”:

“Pensate a Madre Teresa: cosa dice lo spirito del mondo di Madre Teresa? ‘Ah, la Beata Teresa è una bella donna, ha fatto tante belle cose per gli altri…’. Lo spirito del mondo mai dice che la Beata Teresa, tutti i giorni, tante ore, era in adorazione… Mai! Riduce al fare bene sociale l’attività cristiana. Come se l’esistenza cristiana fosse una vernice, una patina di cristianesimo. L’annunzio di Gesù non è una patina: l’annunzio di Gesù va alle ossa, al cuore, va dentro e ci cambia. E questo non lo tollera lo spirito del mondo, non lo tollera e per questo vengono le persecuzioni”.

Chi lascia la propria casa, la propria famiglia per seguire Gesù, ha detto ancora Papa Francesco, riceve cento volte tanto “già ora in questo tempo”. Cento volte insieme alle persecuzioni. E questo non va dimenticato:

“La sequela di Gesù è proprio questo: per amore andare con Lui, dietro di Lui: lo stesso cammino, la stessa strada. E lo spirito del mondo sarà quello che non tollererà e ci farà soffrire, ma una sofferenza come l’ha fatta Gesù. Chiediamo questa grazia: seguire Gesù nella strada che Lui ci ha fatto vedere e che Lui ci ha insegnato. Questo è bello, perché mai ci lascia soli. Mai! Sempre è con noi. Così sia”.

Le ricchiezze ci impediscono di avvicinarci a Gesù.

Per seguire Gesù dobbiamo spogliarci della cultura del benessere e del fascino del provvisorio. E’ quanto affermato stamani da Papa Francesco, nella Messa alla Casa Santa Marta. Il Papa ha quindi sottolineato che dobbiamo fare un esame di coscienza sulle ricchezze che ci impediscono di avvicinare Gesù. Alla Messa, concelebrata dal cardinale Philippe Barbarin, arcivescovo di Lione, hanno preso parte i membri del Pontificio Consiglio degli Operatori Sanitari, guidati dal presidente mons. Zygmunt Zimowski, e un gruppo di collaboratori dei Servizi Economici del Governatorato, guidati dal dott. Sabatino Napolitano.

Gesù chiede a un giovane di dare tutte le sue ricchezze ai poveri e seguirlo, ma questi se ne va rattristato. Papa Francesco ha svolto l’omelia muovendo dal celebre episodio raccontato dal Vangelo odierno. E subito ha sottolineato che “le ricchezze sono un impedimento” che “non fa facile il cammino verso il Regno di Dio”. Del resto, ha avvertito, “Ognuno di noi ha le sue ricchezze, ognuno”. C’è sempre, ha detto, una ricchezza che ci “impedisce di andare vicino a Gesù”. E questa va cercata. Tutti, ha proseguito, “dobbiamo fare un esame di coscienza su quali sono le nostre ricchezze, perché ci impediscono di avvicinare Gesù nella strada della vita”. Il Papa si è quindi riferito a due “ricchezze culturali”: innanzitutto la “cultura del benessere, che ci fa poco coraggiosi, ci fa pigri, ci fa anche egoisti”. Il benessere “ci anestetizza, è un’anestesia”:

"‘No, no, più di un figlio no, perché non possiamo fare le vacanze, non possiamo andare qua, non possiamo comprare la casa’. Sta bene seguire il Signore, ma fino a un certo punto. Questo è quello che fa il benessere: tutti sappiamo bene com’è il benessere, ma questo ci getta giù, ci spoglia di quel coraggio, di quel coraggio forte per andare vicino a Gesù. Questa è la prima ricchezza della nostra cultura d’oggi, la cultura del benessere’.

C’è poi, ha soggiunto, “un’altra ricchezza nella nostra cultura”, una ricchezza che ci “impedisce di andare vicino a Gesù: è il fascino del provvisorio”. Noi, ha osservato, siamo “innamorati del provvisorio”. Le “proposte definitive” che ci fa Gesù, ha detto, “non ci piacciono”. Il provvisorio invece ci piace, perché “abbiamo paura del tempo di Dio” che è definitivo:

“Lui è il Signore del tempo, noi siamo i signori del momento. Perché? Perché nel momento siamo padroni: fino qui io seguo il Signore, poi vedrò… Ho sentito di uno che voleva diventare prete, ma per dieci anni, non di più… Quante coppie, quante coppie si sposano, senza dirlo, ma nel cuore: ‘fin che dura l’amore e poi vediamo…’ Il fascino del provvisorio: questa è una ricchezza. Dobbiamo diventare padroni del tempo, facciamo piccolo il tempo al momento. Queste due ricchezze sono quelle che in questo momento ci impediscono di andare avanti. Io penso a tanti, tanti uomini e donne che hanno lasciato la propria terra per andare come missionari per tutta la vita: quello è il definitivo!”.

Ma anche, ha detto, penso a tanti uomini e donne che “hanno lasciato la propria casa per fare un matrimonio per tutta la vita”; quello è “seguire Gesù da vicino! E’ il definitivo!”. Il provvisorio, ha ribadito Papa Francesco, “non è seguire Gesù”, è “territorio nostro”:

“Davanti all’invito di Gesù, davanti a queste due ricchezze culturali pensiamo ai discepoli: erano sconcertati. Anche noi possiamo essere sconcertati per questo discorso di Gesù. Quando Gesù ha spiegato qualcosa erano ancora più stupiti. Chiediamo al Signore che ci dia il coraggio di andare avanti, spogliandoci di questa cultura del benessere, con la speranza - alla fine del cammino, dove Lui ci aspetta - nel tempo. Non con la piccola speranza del momento che non serve più. Così sia”.

Apriamo le porte a chi viene in Chiesa; è lo Spirito Santo che ce li manda.

Quanti si avvicinano alla Chiesa trovino le porte aperte e non dei controllori della fede: è quanto ha affermato il Papa stamani durante la Messa a Santa Marta. Ha concelebrato il cardinale Agostino Cacciavillan, presidente emerito dell'Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica. Era presente un gruppo di sacerdoti.

Il Vangelo del giorno ci parla di Gesù che rimprovera i discepoli che vogliono allontanare i bambini che la gente porta al Signore perché li benedica. “Gesù li abbraccia, li baciava, li toccava, tutti. Ma si stancava tanto Gesù e i discepoli” volevano impedirlo. E Gesù s’indigna: “Gesù si arrabbiava, alcune volte”. E dice: “Lasciate che vengano a me, non glielo impedite. A chi è come loro, infatti, appartiene il Regno di Dio”. “La fede del Popolo di Dio – osserva il Papa - è una fede semplice, è una fede forse senza tanta teologia, ma con una teologia dentro che non sbaglia, perché c’è lo Spirito dietro”. Il Papa cita il Concilio Vaticano I e il Vaticano II, laddove si dice che “il popolo santo di Dio … non può sbagliarsi nel credere” (Lumen Gentium). E per spiegare questa formulazione teologica aggiunge: “Se tu vuoi sapere chi è Maria vai dal teologo e ti spiegherà bene chi è Maria. Ma se tu vuoi sapere come si ama Maria vai dal Popolo di Dio che lo insegnerà meglio”. Il popolo di Dio – prosegue il Papa – “sempre si avvicina per chiedere qualcosa a Gesù: alcune volte è un po’ insistente in questo. Ma è l’insistenza di chi che crede”:

“Ricordo una volta, uscendo nella città di Salta, la Festa patronale, c’era una signora umile che chiedeva a un prete la benedizione. Il sacerdote le diceva: ‘Bene, ma signora lei è stata alla Messa!’ e le ha spiegato tutta la teologia della benedizione nella Messa. Le ha fatto bene: ‘Ah, grazie padre; sì padre’, diceva la signora. Quando il prete se ne è andato, la signora si rivolge ad un altro prete: ‘Mi dia la benedizione!’. E tutte queste parole non sono entrate, perché lei aveva un’altra necessità: la necessità di essere toccata dal Signore. Quella è la fede che troviamo sempre e questa fede la suscita lo Spirito Santo. Noi dobbiamo facilitarla, farla crescere, aiutarla a crescere”.

Il Papa cita poi l’episodio del cieco di Gerico, rimproverato dai discepoli perché gridava verso il Signore: “Gesù, Figlio di Davide, abbi pietà di me!”:

“Il Vangelo dice che volevano che non gridasse, volevano che non gridasse e lui gridava di più, perché? Perché aveva fede in Gesù! Lo Spirito Santo aveva messo la fede nel suo cuore. E loro dicevano: ‘No, non si può! Al Signore non si grida. Il protocollo non lo permette. E’ la seconda Persona della Trinità! Guarda cosa fai…’ come se dicessero quello, no?”.

E pensa all’atteggiamento di tanti cristiani:

“Pensiamo ai cristiani buoni, con buona volontà; pensiamo al segretario della parrocchia, una segretaria della parrocchia… ‘Buonasera, buongiorno, noi due – fidanzato e fidanzata – vogliamo sposarci’. E invece di dire: ‘Ma che bello!’. Dicono: ‘Ah, benissimo, accomodatevi. Se voi volete la Messa, costa tanto…’. Questi, invece di ricevere una accoglienza buona – ‘E’ cosa buona sposarsi!’ – ricevono questo: ‘Avete il certificato di Battesimo, tutto a posto…’. E trovano una porta chiusa. Quando questo cristiano e questa cristiana ha la possibilità di aprire una porta, ringraziando Dio per questo fatto di un nuovo matrimonio… Siamo tante volte controllori della fede, invece di diventare facilitatori della fede della gente”.

E’ una tentazione che c’è da sempre – spiega il Papa – che è quella “di impadronirci, di appropriarci un po’ del Signore”. E racconta un altro episodio:

“Pensate a una ragazza madre, che va in chiesa, in parrocchia e al segretario: ‘Voglio battezzare il bambino’. E poi questo cristiano, questa cristiana le dice: ‘No, tu non puoi perché non sei sposata!’. Ma guardi, che questa ragazza che ha avuto il coraggio di portare avanti la sua gravidanza e non rinviare il suo figlio al mittente, cosa trova? Una porta chiusa! Questo non è zelo! Allontana dal Signore! Non apre le porte! E così quando noi siamo su questa strada, in questo atteggiamento, noi non facciamo bene alle persone, alla gente, al Popolo di Dio. Ma Gesù ha istituito sette Sacramenti e noi con questo atteggiamento istituiamo l’ottavo: il sacramento della dogana pastorale!”.

“Gesù si indigna quando vede queste cose” – sottolinea il Papa - perché chi soffre è “il suo popolo fedele, la gente che Lui ama tanto”:

“Pensiamo oggi a Gesù, che sempre vuole che tutti ci avviciniamo a Lui; pensiamo al Santo Popolo di Dio, un popolo semplice, che vuole avvicinarsi a Gesù; e pensiamo a tanti cristiani di buona volontà che sbagliano e che invece di aprire una porta la chiudono … E chiediamo al Signore che tutti quelli che si avvicinano alla Chiesa trovino le porte aperte, trovino le porte aperte, aperte per incontrare questo amore di Gesù. Chiediamo questa grazia”.