venerdì 13 dicembre 2013

Terza domenica di Avvento: "Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?".

“Giovanni, che era in carcere, avendo sentito parlare delle opere del Cristo, per mezzo dei suoi discepoli mandò a dirgli: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?». Gesù rispose loro: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo. E beato è colui che non trova in me motivo di scandalo!». 
Mentre quelli se ne andavano, Gesù si mise a parlare di Giovanni alle folle: «Che cosa siete andati a vedere nel deserto? Una canna sbattuta dal vento? Allora, che cosa siete andati a vedere? Un uomo vestito con abiti di lusso? Ecco, quelli che vestono abiti di lusso stanno nei palazzi dei re! Ebbene, che cosa siete andati a vedere? Un profeta? Sì, io vi dico, anzi, più che un profeta. Egli è colui del quale sta scritto:
Ecco, dinanzi a te io mando il mio messaggero,
davanti a te egli preparerà la tua via.
In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui”.
 Quando con fedeltà si rende testimonianza al Signore si va controcorrente. Certo procedere in direzione contraria, magari in maniera ostinata, non è gradito al “mondo” che fa di tutto per eliminare quelle che considera “schegge impazzite”. In realtà chi procede contro le suggestioni del mondo nella fedeltà alla volontà di Dio si sta già ritagliando un posto nel suo regno e comincia, fin da subito, a vivere godendo dei benefici di “Grazia” che derivano dall’intima comunione con il Padre.
Ma andare controcorrente, rispetto al mondo, non è facile. Spesso siamo assaliti dal dubbio e ci chiediamo come Giovanni: “Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?”. E’ una domanda cruciale. Una domanda dalla cui risposta dipende il senso della nostra vita di fede. La vita, infatti, è una soltanto e non vogliamo sciuparla. Giovanni, dal carcere, dove gli era giunta l’eco delle “opere di Cristo” desidera sapere. Ha bisogno di conoscere se è Lui in Cristo, l’unto del Signore. Ha necessità di avere certezza che Gesù è il figlio di Dio. Giovanni, infatti, sta quasi per perdere la sua vita e vuole sapere se l’ha spesa bene. Se la sua sofferenza, il suo dolore, la sua testimonianza  sono stati, per davvero, “un buon investimento”. Ed è così che prende l’iniziativa e manda i suoi discepoli ad incontrare Gesù per avere la certezza se fosse proprio Lui (Gesù), quello che il popolo d’Israele stava aspettando. Ma riceve una risposta indiretta. Gesù non conferma con le parole ma risponde invitando i discepoli di Giovanni a leggere i fatti che stanno accadendo per mezzo di lui.
Ed è così che questi diventano testimoni di eventi che sono a dir poco prodigiosi. Ci sono persone che riottengono la vista; zoppi che riacquistano la possibilità di camminare; malati che guariscono e sono sanati da brutte malattie; gente priva dell’udito che lo recupera e, poveri che ricevono l’annunciato del Vangelo. Oltre ai “miracoli”, che toccano il corpo, c’è il grande messaggio ai poveri, la buona notizia della salvezza e del regno di Dio che è possibile vivere fin da subito. Non c’è dubbio che è proprio questo grande messaggio ai “poveri” il cuore dell’esperienza che Gesù vuole trasmettere. Tutto il resto è importante ma il cuore di tutto è “la salvezza”.
Siamo colpiti, inoltre, dalla grande attestazione di stima di Gesù verso Giovanni che lo indica essere “più che un profeta”. Non un potente “vestito con abiti di lusso” e che abita “nei palazzi del re” ma uno che nella semplicità, essenzialità e sobrietà possiede la forza e il coraggio che solo lo Spirito di Dio sa infondere. Un uomo Giovanni che con grande determinazione è capace di richiamare i suoi contemporanei ad un mutamento di comportamento per recuperare una giusta dimensione di fede. L’invito chiaro propone agli uomini che vanno ad incontrarlo nel deserto e, quindi, anche a noi quando ci mettiamo ascolto dei “profeti”, è quello di abbandonare i comportamenti, i pensieri e le azioni che creano ingiustizie e sofferenze agli altri. Giovanni è l’uomo che spinge alla conversione per ricreare relazioni positive.
Anche noi in questo tempo siamo chiamati a riaccogliere nel nostro cuore il grande messaggio di speranza che viene da Gesù; siamo chiamati ad aprirci al Padre alzando le braccia al cielo per chiedere misericordia e pace; siamo invitati a recuperare il senso della fede autentica con il proposito di dare senso alla nostra vita riconoscendo nel bambino che sta per venire il figlio di Dio.
Siamo i nuovi poveri che alzano gli occhi, invocano protezione e sperano che la luce che intravediamo illumini i nostri pensieri e quelli dei ricchi e potenti che in nome del dio denaro stanno letteralmente opprimendo le nostre vite. Siamo così chiamati a convertirci tutti perché il mondo possa recuperare la strada che porta alla salvezza.
Non possiamo però, come ci ricorda sempre più spesso papa Francesco, perdere la speranza e in questa domenica siamo chiamati a rallegrarci e a gioire nell’intimo nella certezza che il Signore non ci abbandona e che, sempre, è pronto ad evitarci il male.
Francesca Maria Forgetta e Vincenzo Testa

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